MANIFESTO PER GLI SPAZI PUBBLICI DISMESSI

Bologna ha bisogno di una rete diffusa di spazi pubblici. Spazi per l’incontro e la socialità, le produzioni culturali indipendenti, le attività sportive, il gioco delle bambine e dei bambini, la medicina preventiva, il piccolo commercio di vicinato, l’artigianato. Spazi per dare una casa a chi non ce l’ha, per la vita quotidiana, le relazioni, la comunità.
Negli ultimi anni abbiamo assistito alla progressiva riduzione di questi spazi. I quartieri sono stati privati di funzioni vitali, il tessuto sociale è stato frammentato, lo spazio privato è diventato prevalente sulla città pubblica: la socialità è sempre più confinata nei luoghi di consumo, gli spazi autogestiti sono stati sgomberati e lasciati alla polvere, il diritto alla casa è messo a rischio da un mercato degli affitti sempre più selettivo e dall’assenza di regole sul turismo, il commercio di vicinato è da tempo schiacciato dalla grande distribuzione.
Un aspetto di questo impoverimento dello spazio urbano è rappresentato dagli spazi pubblici abbandonati. La città ne è piena: caserme (con annesse ampie aree verdi), edifici residenziali, case rurali, negozi, aree ferroviarie. Luoghi di proprietà pubblica che – una volta esaurite le funzioni originarie – sono stati lasciati nell’abbandono. Luoghi che appartengono a soggetti diversi: Comune, Città metropolitana, Università, Cassa depositi e prestiti, Agenzia del Demanio, Invimit, Ministero della difesa, Asl, Azienda ospedaliera, Asp, Poste, Inps, Ferrovie dello Stato. Indipendentemente dalla loro natura giuridica, il patrimonio che questi enti amministrano è pubblico e la comunità chiede che non venga privatizzato.
I primi segnali mostrano, invece, che l’obiettivo è proprio questo. Il Comune ha già concluso un accordo con Cassa depositi e prestiti per tre ex caserme (Sani, Mazzoni e Masini) che prevede la demolizione dei vecchi edifici, l’abbattimento di gran parte degli alberi e la costruzione di abitazioni private, supermercati, alberghi, parcheggi. Inoltre, ha stipulato con il Ministero della Difesa un accordo relativo ad altre due aree militari (Perotti e Stamoto) che impone alle parti di non divulgare i contenuti delle trattative in corso: nonostante la retorica della “trasparenza” della pubblica amministrazione, la comunità locale viene tenuta all’oscuro dei progetti che la riguardano.
Ci sono, inoltre, numerosi spazi abbandonati di proprietà privata che potrebbero essere orientati verso una destinazione pubblica, attraverso accordi e incentivi. Si stima che in città ci siano almeno 200 edifici abbandonati, alcuni dei quali
dotati di estese aree verdi. Oltre il 40% è di proprietà pubblica. Si tratta di dati parziali, a causa dell’assenza di un registro completo e accessibile.
La città, in definitiva, è piena di vuoti. Su di essi si giocherà nell’immediato futuro una partita importante. Pezzi rilevanti dello spazio urbano cambieranno volto, la città intera ne uscirà trasformata. Gli interessi in gioco sono molti, nessuno di questi ha tra i propri scopi il bene comune. Per fare in modo che a prevalere siano gli interessi pubblici, i bisogni delle cittadine e dei cittadini, la forma e la sostanza della città pubblica, occorre rivendicare alcuni principi:

1. Le aree e gli edifici pubblici devono rimanere integralmente di proprietà pubblica e messi a disposizione della collettività, e deve essere agevolato il riuso pubblico di edifici privati abbandonati;

Nella narrazione corrente, viene dato per scontato che un bene pubblico, per il solo fatto di avere esaurito la funzione originaria, divenga automaticamente disponibile alla privatizzazione. Si tratta di beni che appartengono alla collettività, e come tali devono essere salvaguardati e adibiti a funzioni pubbliche. Il Comune rappresenta interessi pubblici, il suo ruolo non è quello di farsi garante di speculazioni private. I piani di vendita devono essere cancellati e gli accordi stipulati devono essere rinegoziati. Inoltre, bisogna incentivare il riuso degli spazi dismessi di proprietà pubblica e privata e curarne la redditività sociale lasciando la gestione alle comunità di riferimento sul territorio, in grado di trasformarli in beni comuni attraverso la loro azione di aggregazione e cura.

2. La valorizzazione delle aree pubbliche non passa attraverso la creazione di un mercato immobiliare, ma si realizza attraverso la loro destinazione sociale;

Viene continuamente affermato che la riconversione delle aree dismesse passa attraverso la loro “valorizzazione”. Questo termine viene usato esclusivamente nel senso che occorre ricavare denaro da soggetti privati che – a loro volta – ne guadagneranno molto di più dalla vendita a caro prezzo degli immobili realizzati, secondo la logica della speculazione edilizia. Ad uscirne impoverita sarà l’intera comunità, privata di una parte della sua ricchezza. La misura di un bene pubblico non è monetaria, ma deriva dal benessere immateriale che genera nei confronti dei cittadini.

3. Le aree pubbliche devono accogliere una molteplicità di spazi attraverso i quali le cittadine e i cittadini possano soddisfare i propri bisogni;

Per questo sono necessari luoghi di socializzazione liberi dall’obbligo del consumo, spazi di produzione culturale indipendente, luoghi di studio e formazione, abitazioni pubbliche ad affitto parametrato al reddito, luoghi per lo sport popolare, per la medicina di comunità e la partecipazione attiva di persone in condizioni di fragilità, mercati contadini a vendita diretta, negozi di vicinato, laboratori artigianali. Per lo stesso motivo le aree pubbliche non devono essere adibite a tutto ciò che deriva dalla mera logica del profitto: abitazioni private in vendita o ad affitto libero, centri direzionali, centri commerciali e negozi di grandi dimensioni o facenti parte di catene nazionali e internazionali.

4. Gli usi delle aree pubbliche dismesse devono essere decisi attraverso forme di partecipazione reale che attribuiscano alle cittadine e ai cittadini poteri effettivi nella decisione, nella progettazione e nella gestione;

Il Comune di Bologna ha promosso negli ultimi anni processi di partecipazione addomesticati che annullano il potere decisionale della comunità. Vanno quindi respinti tutti i percorsi il cui esito finale sia già stato preordinato e che riservino alle cittadine e ai cittadini un ruolo subordinato finalizzato ad aggiustamenti di carattere secondario di progetti decisi altrove, o che siano concepiti in modo strumentale da parte di liste e partiti alla ricerca di consenso.

5. Nella progettazione degli spazi pubblici deve essere dato ampio spazio alle forme di auto-organizzazione e autogestione;

A Bologna sono nate diverse esperienze di autogestione di luoghi pubblici, molte delle quali cancellate dall’amministrazione comunale per lasciare spazio a progetti speculativi. Occorre riconoscere le pratiche di autogestione collettiva esistenti e rispettare il principio di autodeterminazione delle libere ed informali realtà associative, senza imporre forme standardizzate di organizzazione e rappresentanza. Gli spazi dismessi devono diventare l’occasione di moltiplicazione delle forme di autogestione.

6. Gli edifici di valore storico non devono essere abbattuti, ma restaurati e adibiti ad uso pubblico;

Gli edifici abbandonati hanno spesso un valore per la storia e la memoria della comunità che va salvaguardato con progetti di rigenerazione e riuso realizzabili anche attraverso azioni di autorecupero.

7. Il verde esistente va conservato per preservare l’ecosistema urbano;

I progetti approvati finora su alcune aree militari dismesse prevedono devastanti abbattimenti di alberi. Il verde esistente, anche nella sua forma spontanea, deve essere tutelato e messo a disposizione dei cittadini. Non sono le compensazioni a tutelare l’ecosistema, ma la preservazione di quanto esiste.

8. Devono essere stanziate adeguate risorse economiche per il riuso delle aree pubbliche e per incentivare soggetti privati che intendano mettere a disposizione i propri beni per usi pubblici, anche in forma transitoria.

I bilanci comunali presentano sempre consistenti avanzi di amministrazione. Nell’ultimo quinquennio ammontano complessivamente ad oltre 300 milioni di euro. Una quota dell’avanzo annuale può essere destinata al recupero degli spazi pubblici e privati dismessi, verso i quali dovrebbe essere dirottata anche una parte dei fondi del PNRR.

Questo manifesto è stato redatto da persone, realtà associative, collettivi indipendenti e reti cittadine attive da anni in città in campo politico e sociale ed è aperto alla sottoscrizione, in forma individuale o associata, di quanti ne condividano i contenuti.

Il Manifesto è promosso da Banca Rotta con Venti Pietre, XM24, Circolo Granma, Concibò.
Sottoscritto da: Rent Strike Bolognina, Comitato Mostri urbani di via Saliceto, Pratello R’Esiste, Campi Aperti, Camilla-Emporio di comunità, Comitato Rigenerazione no speculazione-Prati di Caprara, Centro salute internazionale, ExAequo bottega del mondo, Asia-Usb, Cambiare Rotta.