Mappare i vuoti a Bologna

di Piergiorgio Rocchi, urbanista /


La mappatura tematica di situazioni insediative è un importante strumento di conoscenza del territorio. Si tratta, per fare solo alcuni esempi in fase di realizzazione a Bologna, della mappa dei punti vendita di catene commerciali (L’invasione dei centri commerciali), delle trasformazioni a residenza di locali nati con altre destinazioni (La degenerazione urbana), della sanità privata o delle situazioni di abbandono e degrado. La mappatura consente di mettere a fuoco e di inquadrare tematiche che andrebbero poi affrontate, e risolte, con scelte di pianificazione coerenti e adeguate. È dunque  un lavoro di conoscenza di fenomeni insediativi che con i loro effetti non di rado arrivano ad incidere sulla qualità stessa della vita di una città.

Il Mapping collaborativo, cioè quella pratica che con gli opportuni strumenti cerca di coinvolgere fasce di cittadini nella sua creazione/elaborazione, è dunque uno strumento di democrazia, partecipativo e di condivisione, che gli attivisti hanno per poter censire e valutare le trasformazioni urbane. Wikipedia lo definisce laicamente così: “La mappatura è un modo per organizzare la restituzione grafica di informazioni di varia natura su determinati insiemi di elementi territoriali rispetto a determinati progetti o obiettivi”. O ancora, per dirla con un’esperta del settore, Ilaria Vitellio: “La cartografia digitale ‘aperta’ consente di raccontare i territori e le città alla luce dei bisogni di chi li abita. Uno strumento che rafforza il processo democratico”, non facile da realizzare ma molto diffuso. Cito solo alcune esperienze (tra centinaia in tutto il mondo) come la mappatura di supporto alla lotta contro gli sfratti a San Francisco, quella di Orangotango, quella degli “Iconoclasistas”, o ancora l’esperienza di Napoli con Mappi[na].

La restituzione grafica può essere effettuata attraverso l’uso di determinati prodotti informatici che consentono una sistematizzazione ‘strutturata’ della mole di informazioni rilevate e collegate agli elementi rilevati, sempre in relazione ad un determinato sistema geografico di riferimento e consentono altresì una loro archiviazione in database specifici e una loro collocazione nella rete web.

A Bologna esiste una mappatura dei Vuoti urbani, realizzata in collaborazione con Planimetrie Culturali ApS utilizzando MyMap di Google e successivamente tradotta in un GIS (Geographic Information System). La mappa ha preso in esame – con un lungo lavoro di rilevamento iniziato nel 2017 – numerosi episodi di inutilizzo di edifici e aree che hanno portato spesso a severe condizioni di degrado urbano. La mappatura ha interessato il comune di Bologna e una fascia territoriale intorno alla città relativa a nove comuni. Di ogni caso si è cercato di analizzare:

– la tipologia d’uso originaria (es.: Produttivo, Residenza, Servizi, Terziario, Commerciale, etc), 

– le condizioni in cui si trovava all’atto del rilevamento (rudere, in abbandono, inutilizzato, parzialmente utilizzato, etc.), 

– la proprietà, distinta in due grandi categorie: pubblica e privata. 

Successivamente attraverso l’uso di un GIS (nello specifico Qgis) si è affinato il set di informazioni per ogni caso valutandone la consistenza (metri quadri, metri cubi, superficie territoriale, etc.) e inserendo altri dati identificativi – come i riferimenti catastali, l’indirizzo, etc. – e un riferimento fotografico, creando per ogni singolo elemento una apposita scheda.

Gli elementi rilevati sono stati 637, ai quali vanno aggiunti 47 episodi dei quali è ancora necessario approfondire alcune condizioni al contorno. Un totale dunque di 684 rilevamenti.

Uno degli aspetti più rilevanti nella conduzione metodologica del mapping dei vuoti è l’aggiornamento, il più possibile frequente, che va fatto sugli elementi censiti per ‘manutenere’ il sistema informativo. Significa cioè verificare se e quali eventuali operazioni sono state realizzate sugli episodi che li escludono per la loro natura (demolizioni, ristrutturazioni, riuso, nuova costruzione) dall’elenco dei Vuoti, un caso per tutti la demolizione del circolo 20 Pietre-ex ACI e la realizzazione al suo posto di 35 appartamenti.

Ad oggi esperite queste modalità di manutenzione, i ‘vuoti’ assommano a 547. Di questi 364 (67%) sono proprietà privata (compresa la Curia), e 183 (33%) sono di proprietà pubblica (sotto questo termine ricadono il Comune, le Poste, enti vari e USL).

Di questi, vuoti, 133 (il 28%) erano “produttivi”, 120 (il 25 %) erano “residenziali”, 40 dei quali pubblici, 89 (18,5%), erano edifici rurali, 81 (il 14,8% erano edifici per servizi, dei quali 10 scuole).

Il quartiere con più ‘Vuoti’ è il Navile (132), seguito da San Donato-San Vitale (95), da Borgo-Reno (82), Porto Saragozza (81), Santo Stefano (52) e Savena (27). Nei comuni della cintura sono 78. Il quartiere con la più alta percentuale di Vuoti pubblici è il Costa Saragozza  con 52 elementi.

Dei 547 vuoti rilevati fino ad ottobre 2021, 246 (45%), sono “in abbandono” e 276 “inutilizzati” (50%). La distinzione tra le 2 categorie è data dal grado di abbandono, per inutilizzati si intendono edifici vuoti, quasi sempre sul mercato immobiliare e non ancora in condizioni di degrado come i primi.

Complessivamente gli elementi censiti avevano una consistenza volumetrica di 5.309.201  metri cubi, interessavano una superficie territoriale di 355 ettari per una superficie utile lorda di 1.079.902 metri quadrati.

Il quadro delineato dal censimento, pur coi limiti derivanti dalla natura di volontariato e dalle modeste risorse disponibili, delinea un quadro preoccupante, ovvero il quadro di una città che progressivamente viene abbandonata  perché non più funzionale all’estrazione di rendite. Va detto che risulta essere in atto un processo di valorizzazione di numerosi siti censiti come abbandonati o inutilizzati, processo largamente supportato dagli strumenti urbanistici esistenti, mentre il fenomeno in sé viene sottovalutato dagli estensori dell’ultimo piano comunale, il PUG, proposta 2020, là dove si afferma (approfondimenti conoscitivi, scheda 25  aree e edifici dismessi) che gli edifici in abbandono sono 150.